Eolico, una sentenza che fa discutere 

  • Pubblicato il: 16/11/2010 

  • Mini eolico 

Nonostante in Molise molte associazioni ambientaliste denuncino l’assurdo primato di 436 torri installate ed altre migliaia in fase di richiesta (fra le 2.500 e le 5.000) su una superficie complessiva regionale pari a 4.438 chilometri quadrati, oltre a due parchi eolici off-shore a poche miglia della costa adriatica, il Consiglio di Stato, con una sentenza che fa discutere, ha autorizzato l’installazione di ben 16 torri nella città di Sepino (l’antica città romana di Saepinum), che sarà privata, così, del suo contesto agropastorale. Senza considerare che in questa città ci sono le rovine di Altilia, una magnificenza di resti sannitici e romani ed anche importanti caseggiati settecenteschi.

Sopra di essa, infatti, lungo un crinale di 3 km, svetteranno delle gigantesche torri eoliche, ad una distanza di pochi chilometri, sulle colline dei Comuni di Cercepiccola, San Giuliano del Sannio e Vinchiaturo, immersi in un contesto naturale, anch’essi ricchi di storia ed ancora vitali. Simili impianti, come più volte Coldiretti ha avuto modo di ribadire, rappresentano una sistematica sottrazione di territorio e di paesaggio, comportando una pressione ambientale tale da inibire la vitalità della produzione agricola, oltre che del turismo e di altre forme di sviluppo territoriale sostenibile.
 
La società che dovrà realizzare e gestire questo impianto da 32 Mw è la Essebiesse Power (Sbs), operante nel settore della produzione di energia da fonti rinnovabili, che dopo un iter procedurale piuttosto travagliato è stata autorizzata, da un commissario ad acta, nel 2007. Contro questa autorizzazione e la valutazione di impatto ambientale si è opposta, sin da subito, l’Associazione Italia Nostra, mediante ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (Tar), che lo aveva accolto, nel 2009. Ma la Sbs aveva presentato controricorso al Consiglio di Stato, che lo aveva accolto, già nel febbraio del 2010, facendo, così, rivivere l’autorizzazione annullata dal Tar.

A questo punto, è intervenuto nella questione anche il Ministero per i beni e le attività culturali, che, con un apposito decreto ha inibito la ripresa e la prosecuzione dei lavori di realizzazione dell’impianto eolico in questione, in quanto l’intero territorio interessato dall’impianto era stato sottoposto a vincolo paesaggistico nel luglio 2009. La Sbs, ovviamente, ha impugnato davanti al Consiglio di Stato anche tale provvedimento, che, purtroppo, ne ha accolto, per la seconda volta l’istanza.

Ma il Ministero per i beni e le attività culturali, per fermare il danno paesaggistico che l’installazione dell’impianto provocherebbe, ha adottato, allora, ulteriori provvedimenti con lo scopo di garantire l’immodificabilità degli immobili compresi nella perimetrazione ed inibire la prosecuzione dei lavori per la realizzazione dell’impianto eolico, per giungere, da ultimo, ad apporre su tale territorio un vincolo indiretto. La Sbs, quindi, ha impugnato anche questi provvedimenti, dando vita, alla sentenza del Consiglio di Stato, del novembre 2010, che da il via libera, questa volta in un maniera che si suppone definitiva, ad un intollerabile violazione del valore del paesaggio.

Ebbene, secondo il Supremo organo amministrativo, tutte le valutazioni svolte dagli organi competenti a tutela del paesaggio, non contano, in quanto sono sopravvenute rispetto alla autorizzazione dell’impianto eolico. Secondo il Consiglio, dopo il rilascio dell’autorizzazione unica, i lavori avrebbero potuto essere conclusi prima dell’avvio del procedimento di imposizione di vincolo indiretto, avvenuto solo nel 2010. Perciò, ascrivendo il ritardo nella conclusione dei lavori alla instaurazione di un giudizio da parte di controinteressati alla realizzazione dell’intervento, il soggetto autorizzato deve essere rimesso nella situazione di fatto e di diritto esistente nel 2007 ed il nuovo vincolo non è ad esso opponibile.

In questo modo, quindi, al di là delle valutazioni giuridiche, il risultato a cui si giunge è quello di non tenere conto del fatto che il territorio in questione, per motivi evidenti, ha meritato una tutela paesaggistica, la quale, però, non può essere garantita perché, magari, l’amministrazione competente vi è giunta in ritardo rispetto alla domanda di un privato. Resta da domandarsi come sia possibile che, in simili casi, non prevalga l’interesse pubblico alla salvaguardia del paesaggio, del suo valore storico, culturale ed anche ambientale, lasciando, invece, che siano gli interessi privati ad avere la meglio.

Coldiretti, tanto a livello nazionale che territoriale, è e sarà sempre più in prima linea a tutela del bene, costituzionalmente garantito, del paesaggio, del territorio e della sua identità, contro chi, in nome di una presunta tutela ambientale persegue scopi puramente economici, in beffa dello sviluppo sostenibile.


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